Covid e anziani

Guido Bonoldi, medico specializzatopresso il servizio di Medicina Interna 1 dell'Ospedale di Circolo di Varese, Presidente della RSA Fondazione Molina ONLUS.

Il 2020 ha rappresentato per tutta la popolazione del pianeta l'anno della pandemia da Covid, una pandemia che sta continuando ad affliggerci anche nell'anno in corso e dalla quale stiamo cercando di liberarci con la più grande campagna di vaccinazione di sempre. Sappiamo tutti molto bene che la pandemia ha causato e sta ancora causando enormi problemi in campo sanitario, economico, educativo e che ha cambiato profondamente i nostri comportamenti ed influito sulle relazioni tra le persone. Ma per quanto riguarda la mortalità la pandemia ha colpito in particolare gli anziani.

Nel rapporto dell'Istituto Nazionale di Statistica "Impatto della epidemia Covid-19 sulla mortalità totale della popolazione residente anno 2020" pubblicato in data 31 marzo 2021, è riportata la percentuale di decessi Covid-correlati negli anziani in rapporto a quella registrata nella popolazione generale: secondo tale rapporto nel 2020 sono stati registrati in Italia 75.891 decessi in persone Covid positive, nel 52,2% dei casi si è trattato di persone over 80 e nel 37,4% dei casi di persone di età compresa tra i 65 e i 79 anni. I dati forniti dall'Istituto Superiore di Sanità al 30 marzo 2021 riporta che l'età media dei pazienti deceduti e positivi a SARS-Cov-2 è di 82 anni, mentre quella delle persone che hanno contratto l'infezione è di 47 anni. Un fenomeno analogo si è registrato in tutti i paesi ed ha portato la maggioranza degli Stati a definire una strategia vaccinale articolata per classi di età, con la precedenza data alle classi di età più avanzata.

Tra gli anziani una categoria che è stata particolarmente colpita è quella degli ospiti delle Long Term Care Facilities e delle Nursing Home (in Italia delle Residenze Sanitarie Assistenziali), ambiti assistenziali che per le loro caratteristiche di comunità nelle quali convivono anziani fragili e poli-patologici si sono rivelate particolarmente "favorevoli" alla diffusione della infezione. Nell'editoriale "Covid-19 Deaths in Long-Term Care Facilities: a Critical Piece of the Pandemic Puzzle" pubblicato nel settembre 2020 dalla rivista della American Geriatric Society, gli autori della Scuola di Medicina dell'Università di Boston, mettono in evidenza che negli USA durante la prima ondata il 43% dei decessi per Covid è avvenuto all'interno delle LTCF e si soffermano anche su un'altra caratteristica epidemiologica significativa che riguarda le morti Covid 19-correlate nelle Residenze Sanitarie e cioè il fatto che esse mostrino un andamento in crescita anche nella fase in cui nella popolazione in generale il numero di decessi ha già registrato una stabilizzazione, una sorta di onda lunga dei danni causati dal Covid su persone fragili e poli-patologiche.

La diffusione della infezione da Covid 19 nelle residenze sanitarie in Europa durante la prima ondata della pandemia è stata valutata dal Public Health Emergency Team dell'Agenzia European Centre for Disease Prevention and Control, che ha redatto una Rapid Comunication, che è stata pubblicata dalla rivista Eurosurveillance in data 4 giugno 2020. Il documento prende in considerazione i dati di nove diversi paesi europei relativamente ai casi di infezione da COVID 19 registrati nelle Residenze Sanitarie, il numero di decessi in termini assoluti ed in percentuale rispetto ai decessi totali registrati a livello nazionale. Le morti Covid-correlate avvenute nelle Residenze Sanitarie hanno rappresentato una percentuale molto significativa delle morti Covid-correlate in tutte le nazioni prese in esame, compresa tra il 30 e il 60%.

Chi scrive è un medico in pensione che dall'esordio della pandemia si è dovuto confrontare in prima persona con le tematiche sopra-elencate, avendo scelto di tornare a prestare servizio, dall'aprile 2020 a tutt'oggi, nel reparto Covid dell'Ospedale della propria città, Varese, ed anche nella sua veste di Presidente di una grossa RSA, che è stata colpita da un focolaio di infezione da Covid 19 sia nella prima che nella seconda ondata. Non ho la pretesa in questo mio scritto di affrontare il problema "anziani ospiti di RSA e Covid" in maniera sistematica, ma quello che mi prefiggo è di comunicare la consapevolezza che la realtà dolorosa e a tratti drammatica di questi ultimi dodici mesi ha fatto maturare in me.

Parto dal racconto di tre episodi. Un pomeriggio mentre stavo entrando in RSA mi imbatto in un familiare che sta ritirando da un tavolino posto all'ingresso della portineria alcuni oggetti che erano appartenuti ad una persona cara da poco deceduta, da quanto capisco la mamma. Sul tavolino ci sono delle fotografie, dei monili e poco altro, il breve dialogo che carpisco tra il familiare e la portinaia riguarda un oggetto mancante. Ma è evidente che la grande mancanza non è quella dell'oggetto ma del fatto che la mamma se ne sia andata senza poter avere i familiari al suo capezzale e che il commiato avviene ora attraverso la consegna, pur fatta con grande gentilezza, di alcune suppellettili. Non ho il coraggio di intromettermi nel dialogo tra il familiare e la portinaia ed entro portandomi quella scena nel cuore.

Una domenica, dopo la Santa Messa celebrata nella chiesa della RSA, il Cappellano mi parla di Mariangela, una ospite tra le più assidue alle celebrazioni religiose, che da qualche tempo ha perso il suo abituale smalto ed è depressa. Mariangela dice che vorrebbe reagire, ma non ce la fa, per lei tutto è diventato opaco; negli ultimi mesi Mariangela ha visto morire tre persone accanto a sé di Covid. Consiglio al medico del Nucleo dove risiede Mariangela di avviare una terapia con paroxetina, ma sono cosciente che non basterà un farmaco a liberare l'animo di Mariangela da tutto il dolore che lo ha travolto.

Nell'imminenza del Natale faccio visita al Nucleo Alzheimer, uno dei Nuclei più colpito dalla pandemia, che nel frattempo ospita persone che hanno superato il Covid ed altre che non sono mai stata colpite. Gli ospiti radunati nella sala comune appaiono sereni, si capisce che per loro la convivenza è la miglior forma di terapia, è proprio quello che ci vuole; ma è anche quello che in questo ultimo anno si è trasformato per loro in una insidia; sta per iniziare la campagna vaccinale ed uscendo dico al Direttore Sanitario: "i primi che dobbiamo vaccinare sono gli ospiti del Nucleo Alzheimer".

Ora mentre scrivo nella RSA, grazie alle vaccinazioni di ospiti ed operatori, è ritornata una certa serenità; anche se la vita di comunità non è ancora quella che si viveva prima della pandemia: i parenti possono venire a trovare i loro cari una volta ogni quindici giorni e prima di ogni visita il familiare deve sottoporsi ad un tampone antigenico, inoltre non sono ancora rientrati i volontari ad animare la vita della RSA. Il dolore per non aver potuto o saputo proteggere gli ospiti dalla minaccia di questo nemico invisibile, ha reso coloro che li accolgono e li assistono più consapevoli di quanto ciascuno di loro sia prezioso e di quanto sia un bene da custodire il luogo che ospitandoli, permette loro di vivere in serenità l'ultimo tratto di vita.

Durante questo tragico anno ho visto in tanti operatori una dedizione ed una generosità encomiabili e la coscienza di far parte di una squadra che persegue uno scopo comune. Come mi ha scritto recentemente una di loro, una psicologa: "L'isolamento sociale e la solitudine rappresentano motivo di sofferenza e fattori di rischio importanti nella popolazione anziana, per la sopravvivenza, lo stato di salute fisica e mentale, in particolare per depressione, ansia e decadimento cognitivo. Essere parte di questa Fondazione che, riaprendo ai parenti, dimostra estrema sensibilità e grande umanità, mi riempie di gioia e…di orgoglio. Il riscontro che ho avuto dai parenti, quando li ho contattati per dare l'appuntamento per l'incontro con i loro cari, è molto buono e le parole che hanno detto sono state commoventi e di vera felicità".

La pandemia ci ha fatto capire il valore di tanti aspetti della vita, che davamo per scontati, pensiamo allo sport, agli spettacoli, ai viaggi, ad una cena insieme al ristorante; ma ancor di più, pensiamo alla scuola per i nostri ragazzi o alla possibilità di assistere un congiunto ricoverato in ospedale per tutti noi. E per i nostri anziani alla possibilità, quando necessario, di essere accolti in una residenza sanitaria dove poter essere assistiti con amore e competenza e vivere la vita in comunità.

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